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Uve comincia a creare i suoi collages dalla seconda metà degli anni ottanta sulla base di rinnovati stimoli e curiosità intellettuali. In quel periodo egli è decisamente sfiduciato sulle prospettive di successo delle istanze di libertà ed emancipazione del discorso e del sapere umanistico, almeno di quello basato su una concezione e una prassi più tradizionalmente filologica e storicistica. Siamo negli anni del dibattito sulla condizione postmoderna di Lyotard, degli interessi per le teorie della simulazione, le arti combinatorie, i pastiche. E sono anche gli anni in cui si va affermando la prodigiosa svolta tecnologica del digitale che muta l'universo manifatturiero, l'economia e l'immaginario.
In un panorama culturale molto interessato alla riflessione sulle regole produttive delle opere d'arte, Uve aveva già iniziato anni prima a interessarsi al tema delle regole della creazione artistica in ambito letterario (e non solo), concentrandosi sul suo scrivere, certo, ma anche sul cinema e sulla televisione. Si era infatti occupato di arte seriale, una delle pratiche che dagli anni cinquanta aveva mostrato come il mondo della produzione artistica potesse mutuare forme creative dalla produttività industriale. Con la consueta vigile attenzione al multiforme universo dei mutamenti in corso egli affronta quindi un nuovo universo espressivo, quello dei collages, tecnica e arte combinatoria dell'eterogeneo per eccellenza.
In quel periodo partecipa a convegni sulle simulazioni e i giochi linguistici, mette a confronto gli esercizi di stile di Raymond Queneau con la fotografia di David Hockney, e si mette a incollare insieme figure scontornate: è attratto dalla possibilità di sperimentare la formulazione di contenuti combinando materiali visivi. Vive la pratica combinatoria e la riflessione sulle regole che reggono la produzione del senso con singolare intensità, via via sempre più affascinato dagli effetti produttivi delle sue elaborazioni, in cui sistematicamente indaga i possibili effetti visivo-concettuali.
Avendone osservato i procedimenti, discusso con lui per anni su modalità operative, criteri di valutazione ed effetti di senso, mi sono formato l'opinione che la processualità produttiva sia una componente essenziale del suo lavoro, peraltro perfettamente in linea con il modus operandi di molti altri artisti che si applicano a questo genere artistico. Infatti il suo procedere creativo spiega molto del suo rapporto con la materia iconografica da formare e sperimentare nelle sue molteplici virtualità di senso e, come vedremo meglio, rivela una singolarità d'approccio al genere. Egli infatti usa il collage non solo come mezzo di espressione individuale ma anche come mezzo di comunicazione diretta con le persone, agganciata agli universi di discorso personali e amicali, e al flusso delle contingenze relazionali.

Scegliere e combinare figure
L'archivio iconografico in cui raccoglie i materiali da usare nei suoi assemblaggi contiene tutta una varietà di ritagli provenienti dai più dispartati media cartacei: la foto di giornale sta insieme ai dettagli di riproduzioni artistiche, alla cartolina naif, alla fotografia scattata personalmente, magari ad hoc, o ispirata dalla possibilità di integrarla con altri frammenti o lavori in corso d'opera. Nei suoi raccoglitori vengono progressivamente stipate tutte quelle figure e tranche de vie che lo colpiscono perchè manifestano plurivoche possibilità di senso o di combinazione visiva, oppure perché sono evocative di memorie personali o di temi di interesse.
Certamente lo sviluppo di un collage segue direzioni determinate da vari fattori, tutti interni alle necessità proprie della specifica circostanza produttiva, che magari può scaturire dal semplice sviluppo di uno spunto formale; oppure può soddisfare la necessità o l'impulso di esprimere una propria idea o suggestione scatenata dal dibattito politico o culturale corrente. Tuttavia, c'è un dato costante nella produzione dei collages in genere, non solo quindi nelle opere di Uve. Si tratta del fatto che questa è un'arte di comporre e gestire componenti eterogenee, per le quali si devono certamente trovare delle regole combinatorie che istituiscano una solidarietà tra le parti. Ma tali regole debbono saper gestire tale eterogeneità in modo che essa entri a far parte del delicato equilibrio compositivo e rappresentativo.
Nella produzione si tratta insomma di trovare l'accordo o lo sviluppo più soddisfacente del lavoro nel quadro delle possibilità combinatorie determinate dagli elementi iniziali e dalla configurazione che si va assestando. Nell'esercizio di questo sforzo di sintesi dialettica si esprime il peculiare sentimento produttivo di Uve, che vive le difficoltà dell'assemblaggio come del tutto omologhe alle resistenze che la sua vita ha posto alle sua felicità e realizzazione. Come afferma lui stesso - ma come si può constatare in una certa costanza di tematiche e di registri espressivi - egli, nel momento in cui lotta per integrare l'eterogeneo nel frame che va costruendo, combatte i sentimenti di esilio e sradicamento sofferti nella sua vita.

Trovare regole facendo
Per individuare una linea di sviluppo nella sua opera, si può osservare che le prime realizzazioni presentano composizioni i cui costituenti figurativi sono assemblati in base a semplici principi geometrici e dove gli elementi iconografici sono spesso giustapposti o presentano limitate soluzioni di integrazione e amalgama grafico. Le relazioni tra le componenti sono giocate sulle dimensioni di ingombro, sulle scale di grandezza, sulle relazioni topologiche; regole compositive ciooè che costituiscono l'aggancio formale alla produzione del senso. Ma è in definitiva la titolazione che in larga misura sostiene e spiega la necessità espressiva delle combinazioni figurative.
Nel corso del tempo però, anche attraverso la sperimentazione di soluzioni compositive sempre nuove e più duttili, la sua capacità di orchestrazione degli effetti visivi crescerà ed egli riuscira via via a trovare un'eleganza stilistica nell'assemblaggio dei differenti materiali che gli permetta di coniugarli in modo sempre più organico. Intesserà sempre meglio le microstrutture grafiche dei componenti, la grana, i chiaroscuri, i colori, le masse; connetterà il tutto facendo insomma dialogare sempre meglio gli assetti plastici interni a ciascuno e gli stili figurativi dei componenti, facendoli così diventare elementi costitutivi di effetti di senso sempre più articolati, complessi ed intriganti.
Sia che prevalgano piani di significazione simbolica o allegorica delle figure, sia che gli assemblaggi siano rivolti alla pura sperimentazione formale e al gioco compositivo, la geometria delle relazioni plastiche costituisce il mezzo attraverso cui si costruisce il senso. La sua arte trova maturazione lungo questa direttrice e anche i motivi iconografici - colti o pop che siano - vengono smontati, cambiati di segno, svuotati per il tramite delle scomposizioni e dei riassemblaggi figurali, dove la spazializzazione dei componenti è un aspetto fondamentale. Il suo obiettivo è quello di costituire quelli che lui chiama dei "concetti/immagine", cioè degli assemblaggi figurativi in cui l'integrazione tra il visivo e il concettuale è più riuscita.

Adombramento e plurivocità
Indipendentemente dagli effetti rappresentativi perseguiti, si può osservare che poiché i collages di Uve ci appaiono sempre densi, sfuggenti, sempre disponibili a investimenti di senso ulteriori e mai definitivi, c'è sempre spazio per individuarvi una plurivocità di sensi, per spiazzamenti, slittamenti, calembours. Viene insomma sistematicamente evitata l'univocità interpretativa. Anche in presenza di una chiara asserzione rappresentativa si danno sempre elementi di ambiguità che, per così dire, sfrangiano l'univocità, lasciando appunto spazio all'attività proiettiva del fruitore. Come afferma egli stesso in alcune annotazioni sulla sua ricerca, "la formalizzazione di un problema deve adombrarlo", deve cioè problemattizzarlo fornendo una chiave di lettura che produca innanzitutto ambiguità in varie direzioni e mai risolverlo definitivamente.
Se l'adombramento è una delle strategie generali che ispirano il suo lavoro, molte soluzioni di sfruttamento di tale effetto sono costitutive delle sue opere, sia che esso risulti come prodotto finale, sia che fondi l'edificazione sui potenziali evocativi delle figure e dei temi trattati. E' quello che avviene ad esempio con "Il coro di lamento dopo la guerra" o ne "Il pensatore", i cui costituenti figurativi sono, rispettivamente, immagini di maschere della tragedia greca e una statuetta votiva arcaica. Ed è singolare osservare come molti dei costituenti iconografici di natura scultorea che sono presenti nei suoi lavori siano utilizzati proprio in funzione evocativa.
Un altro esempio di adombramento è esemplificato dalle ricorrenti ironie e calembour verbo-visivi, come l'esempio del sofisticato rinvio tra la componente visiva e quella concettuale espressa attraverso le titolazioni del collage: "La protettrice durante la guerra". Si tratta di un lavoro a cui è attribuito questo titolo entro la serie "La guerra", ma che originariamente è stato intitolato: "La mamma è sempre la mamma". In questo caso, la vacuità semantica della formula idiomatica, che afferma solo la preminenza di un valore e non ha nessun significato assertivo, trova amplificazione nel vissuto personale dell'autore segnato dalla mancanza della madre. Quindi ad una mancanza di senso sul piano del linguaggio viene fatto corrispondere la rappresentazione di una mancanza di corporeità attraverso il visivo.

I temi dei collages
Come si è detto, tutta l'opera visiva di Uve è intessuta di sofisticati giochi visivo-concettuali e c'è ampio spazio e interesse per la sperimentazione delle possibilità polisemiche. Tuttavia la sua ricerca estetica non si esaurisce in uno sterile formalismo, nelle sue opere, che sono sempre molto dense e ricche di stratificazioni di artifici e concetti, si possono individuare tutta una serie di tematiche e interessi concettuali ricorrenti.

Abbastanza costante è, ad esempio, la ripresa di generi artistici tradizionali, che talvolta sono trattati con ironia parodistica: come la volta barocca che fa da sfondo ad una limousine, moderno carro trionfale. Oppure, sempre in stile postmoderno e sullo stesso tema, il collage "Dream" che ci presenta una nicchia con una statua sognante che è estasiata per un'automobile. Diverso, e per certi versi più interessante per il suo essere un vero e proprio esperimento di 'tenuta visiva', è il caso della tortura iconologica a cui è sottoposta la testa del Cristo risorto di Piero Della Francesca, trasfigurata in "Un uomo appeso nella periferia durante la guerra"; in questo caso, completamente al di fuori da qualsiasi implicazione cristologica, la ieraticità della figura è sfidata attraverso l'eliminazione dello sguardo e della sua fissità atemporale, eterna. Ciò che pare messo alla prova è proprio la ieraticità rappresentativa.

Tra le tematiche ricorrenti non si può non constatare la persistente attenzione per la condizione umana, vista spesso in chiave problematica. Così, accanto alle allusioni ricorrenti alla morte, alla disperazione, o alla tristezza, ne "La libertà che non vede la guerra" si propone un singolare rapporto tra bellezza e libertà. Nel collage c'è un mezzo volto di donna dai cui occhi si irradiano delle travi. Sono delle belle travi, moderne, slanciate, eleganti: la donna emette ma non recepisce. Le travi, gettate in avanti e sovrastando chi guarda, possono simboleggiare l'assenza di una preoccupazione per il fuori da sè. E' un'idea di libertà autosufficiente e autoreferenziale che si fonda sul potere esercitato sugli altri attraverso la propria esteriorità.

Come si può constatare, anche il tema dei conflitti umani, della guerra e delle loro conseguenze sulle uomini è largamente trattatato nel corpus di collages di Uve, che gli forniscono l'occasione di rielaborare le difficoltà esistenziali patite, cioè quelle di profugo e di esiliato, come ci mostra anche l'autoritratto de "I profughi della guerra". Tra le opere che trattano questo tema ci pare interessante segnalare "La scopa etnica della guerra", intessuta di un'ironia sarcastica che stigmatizza l'insensatezza della pulizia etnica tramite una scopa rozza e sformata, destinata ad agire su aree che non sono solo anguste, ma anche delimitate da innaturali confini geometrici: un'assurdità iperbolica, insomma. E, in questo caso, la manifesta sistematicità delle relazioni simboliche tra le componenti figurative ci fornisce l'esempio di come spesso i collages di Uve esibiscano un funzionamento allegorico.

Un altro ambito d'interesse degli assemblaggi è riconducibile ai molti temi dell'immaginario postmoderno che, come è noto, si nutre di pastiche, combinatorie di incongrui, incubi prodotti dal timore di omogenizzazioni globalizzanti. Ecco allora giganteschi mostri meccanici fagocintanti risorse e beni, autentici Moloch della civiltà dell'industria e del consumo come ne "Il rifornimento della guerra". Oppure carcasse di veicoli frammisti a ruderi romani ci raccontano un'archeologia composita in cui l'antico fa ormai corpo unico con i residui dei rottami meccanici del moderno.
A questo ambito può essere ricondotto anche l'interesse verso i simulacri, come ne "l'uomo virtuale dei mass-media della guerra". Idoli e maschere sono infatti assai ricorrenti nei collages e sull'argomento si può rimandare alla proliferazione di falsi busti marziali carpiti negli studios di Cinecittà. Sono sempre affastellati, immersi nel caos, sfasciati, spesso manifestano la loro illusoria sostanza materiale e sono usati per denunciare la loro inautenticità, e le rovine prodotte dalla guerra.

Doni e sequenze
Come si è detto, Uve tende a organizzare e orchestrare la polisemia dei componenti figurativi sia sul piano visivo che sul piano concettuale, mentre la dimensione sperimentale della sua ricerca è rivolta a produrre degli esiti che forniscano una buona riuscita formale e concettuale che sia sempre accompagnata da una buona dose di apertura semantica. L'opera deve insomma rimanere disponibile a ricevere ulteriore investimenti e valorizzazioni, deve rendere possibili scoperte inattese. A sottolineare questa propensione alla sperimentazione continua di tali effetti e alla natura di gioco e di ricerca che ha rivestito questa attività creativa, non è di minore importanza la dimensione dell'uso che veniva compiuto dei collages stessi.
Essi venivano spesso donati a parenti ed amici, oppure venivano ordinati in raccolte più o meno cospicue secondo omogeneità tematica. Si tratta di due forme d'uso che costituiscono, se non una novità assoluta nell'ambito delle pratiche artistiche contemporanee, un'interessante sottolineatura di come la ricerca artistica fosse un'attività continuamente sottoposta a rinnovamenti, e di come essa fosse vissuta e giocata dentro le relazioni amicali ed affettive, tutte pratiche tese appunto allo sfruttamento delle potenzialità rappresentative e comunicative dei testi.
Uve era solito sottoporre i suoi collages a parenti e amici. Talvolta i collages nascevano direttamente intorno alle discussioni e agli scambi che si realizzavano con le persone ma, molto più spesso, egli donava copie dei collage mutandone il titolo in accordo a quelli che erano gli argomenti che trattava nelle relazioni o che potevano fungere da stimolo per ulteriori discussioni. Era un interessante gioco dialettico tra le virtualità semantiche del collage e il senso maturato nelle relazioni interpersonali, manifestando così il proprio interesse per la circolazione e condivisione di contenuti e valori e usando i collages come forma di comunicazione diretta, come momento e strumento di elaborazione e arricchimento del senso condiviso.
L'altra forma di uso e sperimentazione dei collages è, come si è detto, la raccolta e il riordino di porzioni più o meno vaste della propria produzione che fossero affini ad uno specifico tema, operazione coincidente con una nuova titolazione dei collages che venivano inclusi nella serie. E' un'interessante esempio di come egli sfidasse le opere già concluse a dire qualcosa di nuovo e di diverso ordinandole in sequenze e inventando veri e propri discorsi e narrazioni. Era una forma per ricondurre l'esperienza della produzione visiva in un dominio assai prossimo all'altro suo ambito di ricerca artistica, quella letteraria.

Davide Gasperi - 2007



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