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18 gen 2018 |  commento   

Fig. 1. Lucas Cranach padre e figlio, Pala d'altare della chiesa SS. Pietro e Paolo a Weimar, 1553

Fig. 1. Lucas Cranach padre e figlio, Pala d'altare della chiesa SS. Pietro e Paolo a Weimar, 1553



Fig. 2. Lucas Cranach figlio, dettaglio della Pala d'altare della chiesa SS. Pietro e Paolo a Weimar col sangue di Cristo che colpisce la testa di Lucas Cranach padre,1553

Fig. 2. Lucas Cranach figlio, dettaglio della Pala d'altare della chiesa SS. Pietro e Paolo a Weimar col sangue di Cristo che colpisce la testa di Lucas Cranach padre,1553



Fig. 3. Lucas Cranach padre, figlio e bottega, dettaglio della Pala dell'Altare della Riforma con raffigurato Lucas Cranach padre che ascolta una predica di Lutero, Marienkirche di Wittemberg, 1547

Fig. 3. Lucas Cranach padre, figlio e bottega, dettaglio della Pala dell'Altare della Riforma con raffigurato Lucas Cranach padre che ascolta una predica di Lutero, Marienkirche di Wittemberg, 1547



Fig. 4. Lucas Cranach padre, figlio e bottega, Elia trionfa sui profeti di Baal, 1545.

Fig. 4. Lucas Cranach padre, figlio e bottega, Elia trionfa sui profeti di Baal, 1545.



Fig. 5. Cranach, dettaglio di Elia trionfa sui profeti di Baal. A destra i fedeli di Baal e a sinistra coloro che stanno cambiando credenza.

Fig. 5. Cranach, dettaglio di Elia trionfa sui profeti di Baal. A destra i fedeli di Baal e a sinistra coloro che stanno cambiando credenza.



Fig. 6. Cranach, dettaglio di Elia trionfa sui profeti di Baal, i fedeli di Dio.

Fig. 6. Cranach, dettaglio di Elia trionfa sui profeti di Baal, i fedeli di Dio.









Le opere dei Cranach, padre e figlio, ci offrono la testimonianza di come gli artisti nord europei della Riforma abbiano potuto sperimentare nuovi soggetti e nuove funzioni intellettuali, in una fase storica in cui la ricerca della Bellezza idealizzata e formale ha costiuito una specie di ghetto per l'universo artistico italiano


Sono scoccati da qualche settimana i cinquecento anni della riforma protestante e l'occasione mi pare propizia per fare qualche confronto tra l'arte italiana e quella tedesca e nord europea in generale. Com'è noto, il 31 ottobre 1517 Lutero affiggeva sul portone della Marienkirche di Wittemberg le 95 testi contro la prassi della vendita delle indulgenze con cui la Chiesa Cattolica faceva quadrare i propri bilanci. Al di là delle dispute politiche e teologiche mi pare interessante guardare da vicino alcune opere di Lucas Cranach per mettere in luce la differenza di condizione e ruolo degli artisti nordici e dei loro colleghi italiani.

La prima è la pala d'altare di un'importante tempio luterano, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Weimar (fig. 1), fu iniziata da Luca Cranach il vecchio nel 1550 e fu conclusa dal figlio nel 1553 subito dopo la morte del padre. Il dettaglio che salta agli occhi di quest'opera è che lo zampillo di sangue che sgorga dal costato trafitto di Cristo non cade sulla del Battista, colui che indicherà il Redentore al mondo (e all'osservatore in questa pala), non di Lutero, fondatore e teologo del nuovo corso cristiano, ma cade proprio sulla testa del pittore stesso: intellettuale e promotore della riforma al pari di Lutero, come se la sua arte promanasse dal sangue divino (fig. 2). Non sappiamo ovviamente se l'investitura simbolica fosse progettata dal padre o se essa fosse un omaggio postumo del figlio che la comunità di Weimar riconosce e accetta. Vale però la pena ricordare che nell'iconografia cristiana il sangue che zampilla dal costato del Crocifisso è uno dei massimi simboli sincretici, significando insieme il Sacrificio e l'istituzione Eucaristica e della Chiesa. Ma il pittore Cranach, già borgomastro di Wittemberg, giudice oltreché uomo d'affari, si raffigura in altre occasioni assieme a Lutero come intellettuale e promotore della Riforma, come nella pala d'altare della Marienkirche di Wittemberg (fig. 3).

Il riconoscimento gli è anche dovuto, non solo perché la sua fortuna economica gli permette di aprire la stamperia che imprimerà il primo libro a caratteri mobili della storia: la Bibbia tradotta da Lutero. Bibbia che Cranach paga e illustra magnificamente contribuendo direttamente alla fortuna editoriale dell'iniziativa tanto che le prime 3000 copie andarono a ruba in pochi giorni.
Ma la differenza con la condizione degli artisti italiani è folgorante, perché un'investitura del genere è semplicemente inconcepibile per un pittore cattolico. Sotto i papi agli artisti non è stata mai riconosciuta la licenza di interpretare in prima persona le scritture. I programmi rappresentativi, i piani allegorici, le valenze simboliche erano sempre prescritti ed elaborati da ecclesiastici o intellettuali togati e ai pittori la storiografia successiva ha riconosciuto e avvalorato i contenuti connotativi delle figurazioni, le sfumatura, gli accenti, sempre su impianti altrui. A scongiurare una deriva protestante di tal fatta, per il cosmo pittorico subalpino ci pensò il card. Paleotti, che nel 1582, nel celeberrimo "Discorso intorno alle immagini sacre e profane", prescriveva con puntiglio controriformista che compito dell'arte avrebbe dovuto essere quello di produrre rappresentazione pie, decorose, convenienti e didattiche, tutte orientate stimolare i più profondi sentimenti di devozione cristiana. Con l'intento di definire gli strumenti più adeguati anche a stilare un indice dei dipinti proibiti e da bandire.
Così si generano le condizioni per piegare la libertà intellettuale e teologica di Caravaggio a quel destino di reietto che lo porterà alla disperazione e alla morte.

"Elia trionfa sui profeti di Baal" è un altro dipinto (fig. 4) che mi ha molto colpito durante una recente visita alla Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda. Opera anche questo dei Cranach padre e figlio, nonché della bottega risalente al 1545. L'opera trae spunto da una vicenda dell'Antico Testamento e tratta della rivolta contro i falsi sacerdoti del dio Baal, al quale Israele si vota per errore. Ma il profeta Elia, con l'aiuto di Dio, sfida i falsi sacerdoti a vincere la siccità offrendo dei sacrifici a Baal e disponendosi a fare altrettanto al vero Dio. Quest'ultimo, vincendo, dimostra la propria verità ed efficacia, cosicché gli Israeliti si rivoltano contro il falso dio e i falsi sacerdoti uccidendoli.
Il grande quadro colpisce perché tratta di una conversione che ha come tema centrale un giudizio di verità sancito dal popolo e vede il popolo come protagonista assoluto. In questo senso colpisce il modo in cui tutti i personaggi vengono tratteggiati individualmente, cosicché si può riscontrare una propagazione di diversi stati patemici attraverso la folla in cui però gli individui sono distinti e riconoscibili come tali seppure appartenenti ai vari raggruppamenti: a destra i fedeli di Baal, al centro gli indecisi (fig. 5), a sinistra i fedeli di Dio (fig. 6). E ciò che spicca è che le persone nei diversi gruppi non sono condannate al ruolo di figuranti come avviene nell'iconografia cattolica. Sono tutti individui riconoscibili, tratteggiati somaticamente, psicologicamente e socialmente. Nel bene e nel male questo è un popolo attivo e l'artista pare impegnato a rendere conto delle coordinate identificative di questa massa di individui con una tensione e maestria che non è orientata a pregevoli stilizzazioni. L'obiettivo non sono le belle forme, ma la manifestazione delle dinamiche sociali di fronte alla manifestazione della trascendenza, un popolo colto nel giudizio supremo di discriminazione del vero dal falso. E il pittore è maestro morale e maestro concertatore di apparenze virtuose e malefiche. Un intellettuale pienamente immerso nell'amministrazione del sacro.
Perché l'artista non è un semplice decoratore, colui che ammansisce con belle forme racconti pii e acconci. Certamente non possiamo dimenticare quanto la nostra arte sia stata eccelsa nell'invenzione di artifici come la Prospettiva o sia stata importante nella feconda ricerca di regole produttive di armonie e bellezze formali. Ma, di fronte a queste esperienze, non si può neppure dimenticare che mancando ai nostri artisti la libertà di interpretare i propri soggetti la Bellezza delle forme a cui erano chiamati, specie nel secondo XVI secolo, abbia infine costituito una specie di condanna, una sorta di ghetto per coloro che non potevano sperimentare nuove concezioni del sacro come era invece possibile per gli artisti della Riforma. Di nuovo il caso di Caravaggio è emblematico in questo senso. E questa netta impressione spicca particolarmente alla Gemäldegalerie di Dresda dove intorno alla corposa schiera di quadri nordici figurano tanti capolavori della pittura italiana un tempo parte della Collezione estense, ceduta al Principe elettore di Sassonia nel 1746 al decadimento del casato.

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